Libri,  Recensioni

Il mondo al contrario

Ho letto “Il mondo al contrario”, di Roberto Vannacci. Si tratta di una riflessione personale su alcuni temi di attualità quali l’ambientalismo, l’energia, la società multiculturale e multietnica, la sicurezza e la legittima difesa, la casa, la famiglia, la Patria, il pianeta lgbtq+, le tasse, le nuove città e l’animalismo. Il punto di vista è rigorosamente conservatore e tradizionalista. Potrebbe tranquillamente diventare il programma di un partito di destra. Anzi, in gran parte corrisponde già ai programmi dei partiti di destra. Come pensavo, la stampa progressista ha amplificato alcuni punti, decontestualizzandoli. Frasi che si prestano a critiche e che io stesso non condivido. Per esempio, l’utilizzo del termine “normale” come sinonimo di “maggioritario”. Così si finisce con l’affermare una cosa ovvia, cioè che gli omossessuali sono una minoranza rispetto agli eterosessuali, con una costruzione lessicale oggettivamente impresentabile quando si afferma che i gay non sono “normali” in quanto diversi, per orientamento sessuale, dalla maggioranza. Personalmente, non condivido assolutamente l’utilizzo di tale termine. Io penso che é normale ciò che corrisponde alla propria natura. Per un eterosessuale è normale cercare una persona dell’altro sesso, per un omossessuale è normale preferire una persona dello stesso sesso. Ma Vannacci dedica a questo argomento più di 50 pagine dove c’è scritto anche “Nessuno vuole penalizzare i gay, discriminarli, odiarli e sottometterli, anzi, sono il primo sostenitore dell’assoluta libertà di manifestare i propri gusti e le proprie predilezioni nei modi che si reputano più opportuni”. In definitiva, la sua posizione è molto più complessa e articolata del semplice virgolettato che gli è stato attribuito per impallinarlo. L’obiettivo del corposo capitolo è quello di mettere in risalto tutta una serie di “esagerazioni” ed “ostentazioni”, spesso di cattivo gusto, maturate intorno a questo mondo. Egli cita, per esempio, la storia del genitore 1 e del genitore 2, la proposta di privare il linguaggio e alcuni testi scolastici di riferimenti all’identità sessuale, ecc. Stessa cosa sulla infelice (a dir poco) frase su Paola Egonu che non rappresenterebbe l’italianità per il suo colore della pelle. Non vi nascondo che, per motivi personali (chi conosce la composizione della mia famiglia sa di cosa parlo) mi ha fatto veramente incazzare. Non si può collegare l’italianità ai tratti somatici e al colore della pelle, altrimenti si finisce nella stessa logica della “pura razza ariana” di hitleriana memoria. La cosa buffa è che, nello stesso capitolo, lui stesso dice e argomenta che essere italiani significa condividere lo stesso sistema di valori e che tutti gli stranieri che accettano questo principio sono i benvenuti nel nostro paese. Insomma, in alcuni punti si è incartato da solo ma il suo intento, nel capitolo dedicato alla multirazzialità, è quello di affermare la necessità di un’accoglienza che, attraverso una corretta integrazione, salvaguardi i pilastri della nostra cultura e della nostra civiltà. Mi fermo qui, l’ho fatta troppo lunga. Comunque, credo di aver fatto bene a leggere il libro. Posso dire che alcune cose le condivido altre no ma ritengo che si tratti di una libera espressione del pensiero che merita lo stesso rispetto di tante altre pubblicazioni che affrontano gli stessi temi con visioni opposte. Di una cosa ho avuto l’ennesima dimostrazione: una certa stampa opera scientemente per manipolare il nostro pensiero. Ve lo dimostro con il finale dell’articolo di un importante quotidiano nazionale pubblicato oggi online, che si conclude con questa frase ad effetto: “Quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi … per la prima volta, cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra». Quando l’ho letta, visualizzandolo il generale come appare nelle foto sui giornali, la prima cosa che ho pensato è stata: solo un essere ignobile può fare una cosa del genere. Leggendo il libro, invece, mi sono accorto che il giornalista aveva omesso di indicare che il racconto inizia con la frase: “Fu nel 1975 …”. Il generale parla della prima volta che ha visto una persona di colore, quando aveva 6 anni, e racconta le reazioni di un bambino di 6 anni. Ma il giornalista, chissà perché, ha dimenticato di scriverlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *