Chiara Poggi aveva 26 anni quando perse tragicamente la vita il 13 agosto 2007. Il suo corpo fu trovato disteso sulle scale che conducevano alla cantina della villetta in cui viveva con il fratello e i genitori, adagiato sul nono gradino in una pozza di sangue. A lanciare l’allarme fu Alberto Stasi, il suo fidanzato da quattro anni. “Credo che abbiano ucciso una persona… non ne sono sicuro… forse è viva…”, dichiarò durante la chiamata al 118. “C’è… c’è, c’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra,” aggiunse con voce esitante.
Sono trascorsi quasi 18 anni, ma questa vicenda sembra non trovare una conclusione definitiva.
Alberto Stasi è stato regolarmente assolto nei processi di merito, almeno fino a quando la Corte di Cassazione non ha deciso di intervenire, annullando le sentenze precedenti e ordinando un nuovo processo d’appello.
Ecco le tappe principali:
Il 24 settembre 2007, Alberto Stasi viene fermato e, dopo quattro giorni di detenzione nel carcere di Vigevano, il giudice per le indagini preliminari ordina la sua scarcerazione, ritenendo insufficienti le prove a sostegno dell’arresto.
Il 3 novembre 2008, il Pubblico Ministero Rosa Muscio richiede il rinvio a giudizio di Stasi per l’omicidio della sua fidanzata.
Il 17 dicembre 2009, Stasi viene assolto dal Tribunale. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice definisce il quadro probatorio «contraddittorio e altamente insufficiente a dimostrare la colpevolezza dell’imputato».
L’8 novembre 2011, a Milano, inizia il processo d’appello. La Procuratrice Generale Laura Barbaini chiede per Stasi una condanna a 30 anni di carcere, oltre al riconoscimento della sua responsabilità civile con un risarcimento di 10 milioni di euro. La difesa, invece, continua a insistere sulla mancanza di prove.
Il 6 dicembre 2011, la Corte d’Assise d’Appello conferma l’assoluzione di Stasi, sostenendo che «la decisione di primo grado è immune da vizi e merita di essere confermata».
Tuttavia, il 18 aprile 2013, la Cassazione annulla la sentenza d’appello e ordina un nuovo processo presso la Corte d’Assise d’Appello di Milano. Secondo la Suprema Corte, in secondo grado erano stati «svalutati» alcuni indizi contro Stasi, rendendo necessari ulteriori approfondimenti istruttori.
Il 9 aprile 2014 si apre a Milano il processo d’appello bis. Il 30 aprile dello stesso anno, la Corte d’Assise d’Appello decide di riaprire il caso, disponendo nuove indagini, esami e perizie. Il 17 dicembre 2014, Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di reclusione.
Il 30 aprile 2015, sia la difesa che la Procura Generale presentano ricorsi in Cassazione: la difesa richiede l’assoluzione di Stasi, mentre la Procura Generale chiede il riconoscimento dell’aggravante della crudeltà, precedentemente esclusa.
Il 12 dicembre 2015, la Cassazione conferma la condanna a 16 anni di reclusione. Stasi, accompagnato dai familiari e dal suo avvocato, si costituisce presso il carcere di Bollate.
Da quel momento si susseguono vari tentativi di riaprire il processo, ma tutti si rivelano infruttuosi. Recentemente, però, la Procura di Pavia ha deciso di riaprire le indagini a carico di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, il cui DNA risulterebbe compatibile con quello trovato sotto le unghie della vittima. Gli sviluppi di questa nuova pista sono ancora da vedere.
Analizzando la vicenda giudiziaria, emergono alcune lacune significative nei processi, basati prevalentemente su indizi. A ciò si aggiungono errori grossolani commessi dagli inquirenti e due grandi vuoti: l’assenza del movente e dell’arma del delitto. Nonostante ciò, Alberto Stasi è stato condannato senza che si riuscisse a rispondere a due delle domande fondamentali che ogni investigatore dovrebbe porsi: come e perché? Questo solleva interrogativi sulla qualità delle indagini condotte dalla Procura e dalla Polizia Giudiziaria, così come sull’affidabilità della sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, influenzata da un intervento della Cassazione che, in modo irrituale, sembra aver oltrepassato i confini della legittimità per entrare nel merito della vicenda.