Napoli, vista da lassù, sembrava una tela del Caravaggio.
Notte senza luna, nera come l’anima di un peccatore impenitente.
Fulmini improvvisi che fendevano il buio.
Imprevedibili squarci di luce.
Il mare. Ombre sul mare, riflessi dal mare, sagome indefinite nel mare.
Gocce di pioggia che scorrevano sul vetro. Lacrime sul mio volto riflesso.
Napoli, quella sera, era un assassino in agguato. Una vecchia puttana che vuole succhiarti l’anima e farti uomo. Incuteva timore e, come tutte le cose che fanno paura, affascinava.
Napoli era bellissima, più del mio ricordo di amante deluso. Facevo fatica ad ammetterlo, ma era l’unico posto dove riuscivo a sentirmi veramente a casa.
A tratti si intravedevano i vicoli, ferite aperte tra file di palazzi incastrati tra loro. Lì ero stato niente, insieme a tanti altri. Poi la vita ci aveva voluti guardie e ladri. Carnefici e vittime. Carogne e galantuomini.
Ogni volta che torno cerco di capire perché mi sono trovato da una parte piuttosto che dall’altra, e non riesco mai a trovare una risposta convincente.
Forse è per questo che non sono capace di odiare il mio nemico dopo averlo sconfitto. Siamo la stessa cosa, ma figli di un’opportunità diversa.
